Studio Legale Avv. Sirio Giametta

Due sentenze (4.4.23 e 28.3.23) della Corte di Giustizia Tributaria di II grado del LAZIO ottenute dallo Studio Giametta con chiarimenti sulla legittimità della notifica a mezzo pec e sul calcolo degli interessi degli atti esattoriali 

By - siriogia
04.04.23 03:34 PM

Con le due sentenze in commento la CG tributaria del Lazio definisce i confini dell'ammissibilità delle impugnative degli atti esattoriali (ribaltando, in un caso la sentenza di primo grado e confermandola nel secondo) e, nel merito,  motivando la infondatezza delle censure sulla pretesa illegittimità della notifica a mezzo pec degli stessi.

La prima delle due sentenze in commento (sentenza n. 1933 del 4.4.2023) chiarisce:
a) infondatezza delle eccezione di nullità della costituzione in giudizio dell'Agenzia delle Entrate Riscossione in quanto assistita da avvocato del libero Foro. In particolare la sentenza afferma: Quanto alla questione preliminare sollevata nel giudizio di appello dalla contribuente in merito alla asserita nullità della costituzione in giudizio della Agenzia delle Entrate Riscossione in quanto assistita da avvocato del libero Foro, ossia l’eccepita violazione dell’art. 11 d.lgs. n. 546/92 (norma che recita: “L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 
nonché dell'agente della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o  segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato”), questa Corte ritiene di doverla respingere: l’art. 4 novies del d.l. 30/4/2019 n. 34 conv. in L. 28 giugno 2019, recante “Norma di interpretazione autentica in materia di difesa in giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione” afferma infatti che “Il comma 8 dell'articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, si interpreta nel senso che la disposizione dell'articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l'Agenzia delle entrate-Riscossione, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell'Avvocatura dello Stato nei giudizi a quest'ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio”.
A chiarire poi la controversia interpretativa in merito al suddetto art. 11 – e dunque se l’Agente/Riscossore abbia l’obbligo di stare in giudizio a mezzo propri funzionari con conseguente divieto di assistenza tecnica  da parte di avvocati del libero foro ovvero se debba trattarsi di una mera facoltà – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 19/11/2019 n. 30008, hanno definitivamente affermato il principio per cui “in tutti i casi non espressamente riservati alla Avvocatura erariale su base convenzionale è possibile per l’Agenzia avvalersi anche di avvocati del libero foro (per di più persistendo la facoltà aggiuntiva – ed
alternativa rispetto ad entrambe quelle opzioni – di rappresentanza o avvalimento di dipendenti delegati davanti al giudice di pace ed al tribunale) secondo un meccanismo sostanzialmente automatico: - temperato dalla sola possibilità di derogare con delibera motivata e specifica nel primo dei due casi; - nel secondo, regolato dalla necessità di rispettare – nella nomina – i criteri generali dell’atto generale di cui al comma quinto dello stesso art. 1 e dei principi del codice dei contratti pubblici, temperato dall’eccezione della volontaria assunzione del patrocinio da parte dell’Avvocatura erariale, derogabile, in entrambi i casi, pure dalla facoltà di avvalimento anche di dipendenti delegati per i soli giudizi dinanzi a giudici di pace e tribunali”.

b) infondatezza della pretesa eccezione di inesistenza della notifica a mezzo pec degli atti esattoriali come segue:"Quanto alle modalità di notifica della detta cartella – la cui eccezione di irregolarità, sollevata nel presente grado, appare ammissibile essendo stata posta la medesima questione dalla società contribuente nelle memorie illustrative in primo grado – va premesso che in materia di notificazione a mezzo PEC dell’atto della riscossione, la normativa di riferimento è l’art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 602/73, ai sensi del quale: ” La notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al DPR 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del DPR 29 settembre 1973, n. 600”. Segnatamente, l'articolo 16 ter del D.L. n. 179/2012 prevede che la notifica PEC si intende validamente svolta “se effettuata da un indirizzo certificato ed inviata ad un indirizzo anche esso certificato”, essendo la ratio di tale norma quella di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto da notificare, potendo la notificazione essere eseguita utilizzando esclusivamente un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici registri (Cass. Sent. n. 17346/2019) L’art. 26 d.P.R. n. 602/73 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”), stabilisce che “…La notifica della cartella puo' essere eseguita, con le modalita' di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all'indirizzo del destinatario risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell'INI-PEC, all'indirizzo dichiarato all'atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”, il cui art. 14, in particolare, rubricato “Elenco dei gestori di posta elettronica certificata“, prescrive: ”Il mittente o il destinatario che intendono fruire del servizio di posta elettronica certificata si avvalgono dei gestori inclusi in un apposito elenco pubblico disciplinato dal presente articolo. Le pubbliche amministrazioni ed i privati che intendono esercitare l'attivita' di gestore di posta elettronica certificata inviano al CNIPA domanda di iscrizione nell'elenco dei gestori di posta elettronica certificata”.
Tuttavia, dal combinato disposto di queste norme, non si ravvisa l’esistenza di alcun obbligo, per l’Agenzia delle Entrate Riscossione, di un utilizzo esclusivo degli indirizzi pubblicati nei registri INIPEC ovvero REGINDE, a pena di invalidità della notifica, ma solo l’onere di notifica all’indirizzo del destinatario pubblicato nei pubblici registri.
Va infatti considerato che ciò che rende identificabile e certo l’indirizzo non è il nome utente antecedente il simbolo @ (corrispondente alla mera articolazione organizzativa/territoriale competente) bensì il dominio presente successivamente a tale simbolo, che individua l’indirizzo governativo dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.  
c) infondatezza dell'eccezione di pretesa carenza motivazionale quanto agli interessi dell'atto esattoriale come segueQuanto in ordine al contenuto motivazionale della cartella, segnatamente in tema di calcolo degli interessi, ritenuto “impossibile” dal contribuente sulla base della mera lettura della stessa, va considerato che anche alla cartella di pagamento è applicabile il disposto dell’art. 7, comma 1, della L. n. 212/00, secondo cui: ”Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”; il comma 3 dello stesso articolo aggiunge poi che sul titolo esecutivo vada riportato “il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria”.  Con recente chiarificatrice sentenza delle Sezioni Unite (n. 22281/22) la Suprema Corte ha tuttavia precisato che nelle ipotesi di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36 bis d.P.R. n. 602/73 e art. 54 bis d.P.R. n. 633/72 – nel caso di specie la cartella deriva da controllo automatizzato della dichiarazione Mod. Unico /2015 per i redditi dell’anno 2014, trattandosi pertanto di importi a debito iscritti dall’Ufficio in relazione a quanto dichiarato dalla contribuente nella propria dichiarazione dei redditi – “il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo alla dichiarazione medesima, proprio con riferimento al debito per tributi vari ed interessi…il riferimento agli elementi della dichiarazione quadro, modulo, rigo, periodo di riferimento, data degli eventuali versamenti tardivi – esonera l’amministrazione dall’onere motivazionale in ordine all’obbligazione relativa agli interessi (Cass., 8 marzo 2019, n. 6812, più volte cit.), limitatamente alla decorrenza dell’obbligazione che il contribuente può agevolmente individuare, mentre lascia inalterata la necessità che l’emittente la cartella fornisca l’indicazione del parametro normativo in base al quale l’amministrazione ha proceduto al computo degli interessi indicati in cartella”, adempimento che è stato ottemperato dall’Ente Riscossore, come può evincersi dalla lettura della cartella stessa.

Le seconda sentenza (sentenza n. 1745 del 28.3.2023) accogliendo l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate Riscossione e rigettando l'appello incidentale proposto dal contribuente ha così statuito sulla legittimità della notifica a mezzo pec degli atti esattoriali e sulla legittimità della difesa da parte di avvocato del libero foro oltre che chiarito che con la prova della intervenuta prova della notifica degli atti esattoriali il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile per tardività: In via del tutto preliminare ritiene il Collegio di concordare con le motivazioni dei giudici di prime cure a sostegno dell’infondatezza delle censure formulate nel ricorso, di nullità della notifica effettuata via PEC degli atti in oggetto e dell’inammissibilità della costituzione dell'Agenzia tramite avvocato del libero foro, a cui si rinvia in ossequio al principio fondamentale di sinteticità degli atti giudiziari, unanimemente riconosciuto applicabile anche al processo tributario. Ciò premesso, assorbente di qualsivoglia ulteriore doglianza si presenta il rinvenimento in atti della prova delle avvenute notifiche delle cartelle di cui in sentenza è stata sancita la mancanza.
Orbene, in disparte l’affermazione dell’appellante di aver depositato copia di dette relate già anche in primo grado, le stesse risultano oggi depositate a corredo dell’atto di appello che, per granitica giurisprudenza, è assolutamente consentito. Tanto consente a questo Collegio di evidenziare la fallacia della sentenza di primo grado laddove, proprio con riferimento alla presenza di tale documentazione di cui non si è avveduta, ha accolto le doglianze del ricorrente, quando, invece, avrebbe dovuto dichiararne l’inammissibilità per tardività, atteso che lo stesso – a fronte della corretta notifica delle cartelle – avrebbe dovuto sottoporre queste a gravame, e non già, come ha fatto, il preavviso di fermo. Essendo, pertanto, spirato senza alcuna sottoposizione a ricorso, il periodo di 60 giorni fissato dal legislatore all’art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546 per impugnare le cartelle regolarmente 
notificate e ricevute (come si evince dalla documentazione in atti), il giudice di prime cure avrebbe, ripetesi, dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per tardività. Non avendo così proceduto, l’odierno Collegio non può che determinarsi per l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.